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Channel: Psicologia del comportamento – Carlo D’Angiò
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“Se chiedi soldi, ti mando a cagare”, ovvero, la questione morale di chi vende informazioni online

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All’inizio, pensavo di scrivere qualcosa solo per i miei studenti, per condividere con loro parte di un’esperienza che si forma anche attraverso la gestione delle obiezioni più assurde. Ma più riflettevo su “come” affrontare questo specifico argomento, più mi accorgevo che la questione morale di chi vende informazioni online non può essere lasciata al caso e, soprattutto, non può essere tenuta nascosta.

Non è solo un problema di linguaggio o di messaggio, per cui quello che diciamo e come lo diciamo deve filtrare un certo tipo di pubblico e, laddove possibile, implementare un certo registro educazionale, ma è anche un problema culturale.

Per esempio, non ho mai visto un aspirante studente universitario reclamare la gratuità dell’ateneo e degli studi, così come non ho mai visto un consumatore lanciare insulti alla cassiera di un negozio di scarpe o di telefonini per il semplice fatto che chiede il pagamento di un prezzo. È nella cultura dei consumatori che quei servizi e quei beni si pagano.

Ma si pagano anche i prodotti su Amazon e su Apple. Si paga l’abbonamento a Sky. Si paga il salumiere, il dentista, il tabaccaio, l’installatore di infissi in alluminio e il distributore dei gratta e vinci. Si paga ancora il biglietto allo stadio, al teatro, al concerto, sui treni, in autostrada e alle giostre.

[pullquote cite=”” type=”right”]Non esiste nulla di veramente gratuito. Se non paghi qualcosa, qualcun altro lo sta facendo per te.[/pullquote]Credo che tutti possiamo sostenere con una certa tranquillità che i beni e i servizi si pagano. E si pagano anche quando non si pagano, anche quando cioè sembrano gratis. Perché non esiste nulla di veramente gratuito. Se non paghi qualcosa, qualcun altro lo sta facendo per te.

Ma allora perché tra i commenti di chi vende prodotti di informazione compare ogni tanto questa odiosa tipologia di improperio? Perché le persone si scandalizzano del fatto che ci sia da pagare un prezzo per accedere a un corso sul web? E perché tanta insolenza nel linguaggio?

Tutto questo proveremo a capirlo fra poco. Prima però cerchiamo di rispondere a una domanda cruciale: [highlight]è lecito chiedere soldi per condividere la conoscenza?[/highlight]

Vorrei partire da qui. Ma vorrei anche che le risposte le trovassimo insieme, ragionando sulle storie e sui fatti che formano l’esperienza di base della nostra consapevolezza.

Il maestro che si faceva pagare

maestroConosco una storia che comincia a rispondere alla nostra domanda cruciale. Si tratta di un maestro di nome Yusuf Ibn Jafar El Amudi, che solitamente si faceva pagare ingenti somme di danaro da chi si recava da lui per studiare.

Un giorno gli fece visita un distinto avvocato, che dopo aver assistito alla procedura di insegnamento e di pagamento della lezione, disse: «Sono rimasto incantato e ben impressionato dai vostri insegnamenti e sono sicuro che state guidando i vostri allievi nel modo giusto. Ma non è in accordo con la tradizione prendere denaro con la conoscenza; inoltre questo lascia spazio ai travisamenti».

Il maestro rimase in silenzio per qualche secondo. Poi rispose: «Non ho mai venduto alcuna conoscenza. Questa non ha, al mondo, alcun prezzo. E l’astenersi dal chiederlo non escluderà questa possibilità, poiché si troveranno altri oggetti. Piuttosto, dovreste sapere che l’uomo che chiede denaro può essere avido come no. Ma un maestro che non chiede nulla, si sospetta che rubi l’anima dei suoi discepoli. Quelli che affermano “Non chiedo niente” possono essere sorpresi a sottrarre la volontà delle loro vittime».

[blockquote cite=”Yusuf Ibn Jafar El Amudi” type=”left”]…un maestro che non chiede nulla, si sospetta che rubi l’anima dei suoi discepoli[/blockquote]

Non voglio interpretare questa storia, né ricavarne alcun significato. Voglio solo che tu possa ragionare con calma sulle parole del maestro.

Il valore della conoscenza e il vecchio meccanico

vecchio-armatoreC’è un’altra storia molto bella che può aiutarci a comprendere meglio la questione morale del prezzo della conoscenza. Questa volta si tratta di un uomo ricco che possedeva un bellissimo piroscafo. Un giorno, dopo un viaggio particolarmente difficile in una terra straniera, il motore si fermò, e nessuno riusciva più a farlo partire.

Mandarono a chiamare tutti i meccanici della zona, ma uno dopo l’altro fallirono tutti. Il proprietario del piroscafo era disperato. A un certo punto, però, gli giunse notizia che c’era un vecchio e saggio costruttore navale che forse poteva aiutarlo, ma a un prezzo molto alto. L’uomo ricco lo fece chiamare subito.

Poco tempo dopo arrivò un vecchio che sembrava occuparsi di navi da almeno un centinaio di anni; portava con sé una grossa borsa degli attrezzi e si mise subito al lavoro.

Esaminò molto attentamente l’intrico di tubi che arrivavano al motore e che da lì si ripartivano, posandoci ogni tanto la mano sopra per verificarne la temperatura.

Alla fine il vecchio infilò la mano nella borsa e tirò fuori un piccolo martello. Con delicatezza picchiò contro uno dei tubi e istantaneamente si sentì il rumore del vapore che correva dentro. Mentre il motore ricominciava a funzionare, il vecchio ripose con cura il martello nella borsa.

A questo punto il ricco gli chiese quanto gli doveva. E il vecchio gli presentò un conto di diecimila sterline, una somma importante per quei tempi.

“Che cosa?”, esclamò il proprietario del piroscafo, furioso. “Ma se non ha fatto quasi niente! Mi giustifichi questo conto se non vuole che la faccia sbattere in galera”.

Allora il vecchio cominciò a scarabocchiare qualcosa su un pezzo di carta che aveva tirato fuori dalla tasca. Il ricco sorrise mentre lo leggeva e si scusò per il suo comportamento sgarbato.

Ecco che cosa c’era scritto:

  • Per il colpo di martello…………..……… $ 1
  • Per aver saputo dove picchiare….. $ 9.999

La conoscenza: il bene più prezioso

La storia del vecchio meccanico mette in luce uno degli aspetti più trascurati – e forse equivocati – della questione morale del prezzo degli infoprodotti: il saper fare le cose e i benefici derivanti dalla sua applicazione pratica nella vita delle persone.

La conoscenza è il bene più prezioso. E il suo prezzo può certamente variare a seconda di chi la offre, ma il suo valore non è dato dalla somma degli elementi fisici che la compongono, come per un trapano o per una lavastoviglie.

Il valore di un ricorso in Cassazione non è rappresentato dal foglio di carta su cui viene scritto e dal tempo speso per redigerlo, ma da ciò che aggiunge alla vita dei beneficiari in caso di esito favorevole.

Un avvocato che ha difeso centinaia di clienti, dopo 20 anni di pratica sul campo, ha un’esperienza che gli fa sembrare semplici problemi complessi. Se impiega 10 minuti per redigere un ricorso vincente è perché ha la conoscenza giusta per farlo in modo rapido. Commetterebbe un errore a farsi pagare solo in base al tempo speso, perché ignorerebbe gli anni di studio, la sua esperienza, il costo di tempo e denaro per l’aggiornamento continuo della sua professione e – cosa più importante – il valore del suo lavoro per i suoi clienti.

Il valore non è solo il tempo che egli dedica a un progetto o a una causa. Il valore è la conoscenza, l’istruzione e l’esperienza. È anche quei doni intuitivi come la creatività e la capacità di vedere che si sono sviluppati solo perché egli è immerso in un campo specifico da anni.

Chi aiuta è sempre etico

A questo punto, mi pare evidente che la questione morale di chi vende informazioni online non si pone, se non in termini di buona comunicazione. Serve una distinta di dettaglio che sappia far capire quanto vale il colpo di martello e quanto il saper dove colpire. Il messaggio deve filtrare il pubblico e isolare i soggetti culturalmente irrilevanti e a basso livello di coscienza.

Il nostro messaggio non può essere per tutti. Se pensiamo di colpire il maggior numero possibile di persone, senza un filtro, commettiamo l’errore di attivare l’interesse – seppure solo temporaneo – dei soggetti scalmanati dagli istinti primordiali, con i quali non possiamo trattare da una posizione costipata come quella in cui ci troviamo sulle pagine di pubblico dominio.

È anche una questione di focus e di priorità. Dobbiamo convincere l’uomo di Neandertal che la conoscenza è un bene prezioso e per questo si paga? Oppure dobbiamo restare focalizzati sul nostro pubblico e aiutare le persone a fare meglio qualcosa nella vita o nel lavoro?

Quelli che di fronte a un infoprodotto scrivono cose del tipo “Se chiedi soldi ti mando a cagare” sono evidentemente individui con un livello di coscienza molto primitivo e gretto. Non ci sono tecniche che possano favorire una buona comunicazione.

È come avere a che fare con un uomo medievale portato avanti nel tempo a sua insaputa. Probabilmente non si lava i denti, non conosce gli antibiotici e sgozza un vitello per predire il futuro. Come pensi di poter comunicare con una persona del genere? Non puoi.

Ma quello che voglio farti capire è che non è un tuo problema. I prodotti di informazione sono prodotti di conoscenza: hanno un valore immenso, perché aiutano le persone a fare meglio nella vita o nel lavoro. E ciò che aiuta è sempre etico, ancora di più quando viene divulgato a pagamento.


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